Barlumi di lessico ed espedienti per rottambuli

Questo saggio (si fa per dire) è il quarto capitolo di una presuntuosa serie, più sul faceto che sul serio, di cui si riepilogano le precedenti puntate:

Tecnosupporti alle scarpinate fuori porta – PROLOGO
Calamite e cellulosa (1)
Calamite e cellulosa (2)
Le morbide mappe…

più il libercolo, di diversi anni antecedente ma forse ancora utile.

 

In termini generali, la navigazione intesa come costante controllo (nel più moderno senso anglosassone del termine = comando, governo, molto più forte dell’italica accezione di misura o sorveglianza) del nostro movimento da una data posizione di partenza ad una desiderata e altrettanto determinata posizione di arrivo è applicabile a qualsiasi movimento, mezzo o ambiente. Certo, locuzioni tipo “navigare per monti e colline” solo vent’anni fa avrebbero fatto sicuramente sghignazzare (rallies e promospot Q8 a parte), nel tentativo di riportare tutto in termini di orientamento (orienteering), ma il progresso è progresso. Ma è assai ovvio come caratteristiche di moto e necessità collaterali siano assai differenti tra il deambulo in terraferma, lo svolazzo tra le nuvole o il galleggio tra i flutti. La prima cosa che salta all’occhio è che mentre nei fluidi ci si può muovere, in linea di principio, senza vincoli predeterminati, magari in linea retta o a sinusoide se ci garba, in crosta va a finire che nella maggior parte dei casi si seguiranno tragitti precostituiti, naturali o artificiali, per convenienza o per improponibilità di alternative. Prendiamo il nostro loquace navigatorino automobilistico, fissiamo un waypoint di destinazione a un paio di km o giù di lì (siamo buoni) dal nostro fix, impostiamo nel setup di NON seguire la mappatura stradale (off road) e lanciamo la navigazione (routing – go to). Capiterà che seguire quella bella linea retta, geometricamente il percorso più corto (la DTK del seguito) e che porta dritti-dritti alla destinazione, non sarà un affare facile: in molte circostanze non sarà materialmente possibile, in altre c’è il caso che qualcuno chiami i carabinieri o magari la neuro. In mare aperto, salvo rari casi sfigati (Costa Concordia insegna), il tutto avrebbe invece potuto avere senso.

Ora, se anche si ci rende conto delle intrinseche applicabilità, opportunità o limitazioni di certi meccanismi, nulla toglie che anche un percorso terricolo ben zigzagato per seguire strade e sentieri possa in fondo essere scomposto in una serie di segmenti rettilinei (legs) e virate di fatto non molto differenti, nella loro essenza, dai tragitti idealizzati seguiti da un natante. Certo, le geometrie e le dimensioni saranno palesemente differenti ma questi sono solo aspetti numerici, non di sostanza.

Ecco che allora certi affermati principi di governo navigatorio mediante linee spezzate possono tornar utili anche allo scarponatore domenicale, magari anche come diletto o arricchimento della consapevolezza della situazione di percorso, eventualmente anche a supporto di impreviste decisioni run-time, o per orientamento di massima che non fa male.

Diamo allora un’occhiata a certi lessici navigatoriali di base, vuoi magari per evitare grottesche cantonate ma anche solo per cultura generale o sollazzo. Sul fatto che il deambulatore naturistico debba trovare queste nozioni più utili rispetto a chi scarrozza solo su asfalto immagino non vi sia necessità di menzione.

Qui si lavora di grossolano ma, pur di evitare errate concezioni o accuse di eresia, ipotizziamo di rimanere sempre su aree ristrette (es. una tavoletta IGM) così che possiamo far finta che stiamo in un mondo piatto e che l’ago della bussola sia ovunque sempre parallelo a sé stesso, lasciando quindi da parte geodetiche e circoli massimi, che al rottambulante domenicale interessano quanto le contrazioni relativistiche. Cementiamo inoltre l’ipotesi che quando si cita “nord” siamo già d’accordo su quale usare e che useremo sempre quello.

Iniziamo quindi col dare un significato condivisibile a certe parole e ricordiamo che in ogni buona scienza il lessico è quello e i sinonimi sono banditi.

Posizione (position) – conoscenza di dove ci si trova in un certo istante, esprimibile in modo oggettivo e analitico (es. coordinate) e con una adeguata confidenza (accuratezza e precisione). È la funzione base svolta oggidì dal gioco di trilaterazione del GPS o GLONASS che sia, laddove è spesso denominato fix e per il cui sommario meccanismo di determinazione e funzionamento si rimanda al citato libercolo e ai riferimenti colà riportati.

Rotta (course) – direzione, individuata dall’angolo azimutale (ovvero sul piano orizzontale e nùn ce frega delle quote), lungo cui ci si sta muovendo o verremmo farlo; al solito, l’angolo è misurato in base ad un riferimento condiviso. Come sempre, per direzione intendasi “linea retta”, entità ovviamente incline ad essere una astrazione istantanea. Il cammino reale tracciato sul terreno da un qualsiasi ambulante assumerà nel tempo forme assai variegate, ma questo insieme di punti avrà da chiamarsi tragitto, tracciato, percorso, itinerario, cammino o quello che volete ma non rotta (magari solo perché in inglese è route e “suona vicino”! occhio quindi ad assonanze di false-friends, pure alimentate da traduzioni maldestre in tecno-aggeggi commerciali). La rotta esprime spesso un riferimento utilizzato per governare il movimento desiderato (“da qui per andare lì bisogna virare su rotta 2-6-5” significa che se si traccia adesso una linea retta da qui a lì questa individua la direzione 265° di bussola) ma è ovvio che per tale natura è necessario solo in caso di movimenti in ambienti virtualmente isotropi (aria, mari e deserti). In alcuni contesti viene anche denominata track, cosa che può ingenerare fraintendimenti ma viene molto usata nell’accezione Desired Track (DTK) che useremo. Col termine Course Made Good (CMG) si intende la rotta idealmente effettuata ovvero la direzione individuata dalla linea congiungente il punto di partenza e la posizione attuale, indipendentemente dal reale percorso con cui ci si è arrivati.

In situazioni idilliache la rotta istantanea coincide con la “prua” del mezzo (heading). Quando vi sono però pesanti influssi esterni che obbligano ad avanzare in assetto imbardato, perdendo di conseguenza la istintiva identità tra direzione di reale avanzamento rispetto al sistema di riferimento fisso e la direzione assunta dalla “prua” del veicolo, viene anche adottata la denominazione COG, Course Over Ground, a sottolineare che presumere la direzione di reale movimento coincidente con l’asse longitudinale del mezzo sarebbe fuorviante. Anche il rottambulo scarponatore, se investito lateralmente da una forte tormenta, tende ad avanzare di traverso, ma è ovvio che il fenomeno ha senso in altri frangenti.

Rilevamento [relativamente a un oggetto o bersaglio o destinazione in relazione alla nostra attuale posizione] (bearing) – angolo azimutale che punta ad un “oggetto” facendo perno sulla nostra posizione, assunto un riferimento nord; a volte chiamato azimut(h). L’oggetto (ovvero la sua verticale) può essere un sito individuato come riferimento di percorso (o come bersaglio…) oppure un determinato punto di transito/destinazione, cioè un waypoint lungo il nostro ipotetico tragitto.

Velocità (speed, velocity) – apparentemente patrimonio innato della conoscenza e proprio per questo spesso incompreso. Anzitutto, rimembrando un po’ di fisica elementare, dovrebbe essere chiaro che la velocità è anzitutto un vettore, per cui è contraddistinta non solo da un valore numerico assoluto – dato un sistema di misura – ma anche da una direzione e un verso. Poi c’è da tenere presente che tali entità possono variare allegramente nel tempo (o spazio), per cui occorrerebbe sempre sottintendere che i valori sono “istantanei” in quanto in generale è una funzione del tempo. Infine da considerare che la “misura” della velocità implica l’aver assunto un sistema di riferimento più o meno implicito. Il pedone campestre se ne può anche infischiare, molto meno possono (potevano!) farlo aviatori e marinai che storicamente difettavano di riferimenti convenzionalmente considerabili “fissi”. Aria e acqua possono avere moti propri rispetto alla terraferma (che, per l’occasione, possiamo considerare come sistema di riferimento per antonomasia) per cui misurare la propria velocità rispetto a tali fluidi può essere quantomeno avventato se non si tiene debitamente conto degli effetti di composizione. Ricordate il classico caso del traghetto che deve attraversare ortogonalmente un fiume con forte corrente? Il traghettatore che misura la sua velocità rispetto all’acqua (magari contando i nodi sulla corda annodata calata da prua …) trova valori ben differenti che prendendo a riferimento gli approdi alle sponde! Come in precedenza, non a caso si coniano termini tipo SOG (Speed Over Ground) per sottolineare che il dato è riferito al terreno e non falsato da trascinamenti o riferimenti volubili. Qui, tra l’altro, il lessico tecnico degli anglofoni diversifica con speed la classica velocità scalare, laddove non interessano o sono sottintesi direzione e verso, mentre con velocity si intende la grandezza fisica vettoriale.

Le due figure seguenti cercano di pasticciare schematicamente le entità sopra menzionate, nel caso generale:

 

 e nel caso ideale di assenza perturbazioni laterali:

 

 Un paio di sketch dell’influsso dei fenomeni perturbatori (tratti dall’autorevole Airplane Flying Handbook, US DOT/FAA, 2004), dove ritroviamo anche il traghetto prima citato:

 

 Ora, cosa ganza è che la sorveglianza delle grandezze e gestione dei criteri di cui sopra, una volta appannaggio di sofisticate strumentazioni da cruscotti, sono oggi disponibili anche su particolari GPSr (solitamente NON su quelli prettamente automobilistici). Una tipica configurazione di una avanzata bussola da navigazione è nota come HSI (Horizontal Situation Indicator), corredata di meccanismo CDI (Course Deviation Indicator) che, attraverso la D-bar (la linea rossa spezzata), indica anche l’errore trasversale (cross track, XTE) e sotto ne è riportato un esempio live.

 

La freccia rossa indica una direzione PARALLELA alla DTK (Desired Track), quella linea ideale, già accennata, coincidente con il percorso geometricamente più breve, sovrapponibile alla rotta, che unisce il punto di partenza dalla destinazione. Se XTE è nullo (asta della freccia integra) allora la freccia indica la DTK e quindi anche la destinazione (o il suo opposto, vedi poi). E dovrebbe essere intuibile che se XTE non è nullo, la rotta che stiamo seguendo è sì quella inizialmente voluta (angolo di bussola detto intended course o rotta iniziale) ma non coincide con la DTK (abbiamo scarrocciato e siamo solo paralleli) e quindi mancheremo il bersaglio.

Oltre la grafica che scimmiotta lo strumento classico, i campi numerici (data fields, che per l’occasione mostrano velocità istantanea, stato batteria, ora stimata di arrivo e tempo stimato rimanente all’arrivo) sono completamente personalizzabili dall’utente tra diverse decine di parametri, tra cui quelli interessanti il contesto e riportati in lista. Utili ad un ipotetico timoniere sono To Course e Turn che dicono esattamente quanto e come correggere per tornare sulla rotta ideale stabilita in origine.

Il triangolo blu sta meramente a indicare da che parte sta la destinazione (To-From indicator), nei confronti della rotta originale. Non allibite: in assenza di un bearing indicator o altra fonte informativa, potremmo anche superare la meta e, se non ci fosse un leg conseguente, nel quadrante HSI non cambierebbe nulla. Se invece si vuole continuamente “puntare” alla destinazione, basandosi sulle circostanze e indipendentemente da una qualsivoglia rotta prestabilita, si usa una configurazione di bussola detta RMI o Bearing Indicator. In questo caso basterà far coincidere direzione di moto con il rilevamento e questo a partire da un qualsiasi istante. Ciascun tipo di bussola ha i suoi vantaggi in funzione delle specifiche situazioni.

Cose complicate a leggersi ma più intuitive in pratica e, con un po’ di esercizio, anche divertenti.

Terminiamo questa barbosa puntata ricordando che la navigazione moderna è sì una scienza (e magari esatta a tavolino) ma alla fine la miglior riuscita di una missione in termini di analisi, valutazione, condizioni, vincoli, priorità, gestione evenienze/imprevisti e performance di esecuzione rimane un’arte. Non basta certo un trastullo elettronico a fare uno skipper…

Alla prossima. Saluti a tutti da Carlo Palazzini