Dopo il Sasso, i Prati

Sono passati un paio di mesi dalla scarponatina nevosa al Sasso della Regina e la primavera, almeno a calendario, invita a qualcosa di più vivo e colorato. Ma capita anche che il meteo giochi brutti scherzi, solleticandoti con limpida atmosfera un dì, con miraggio di previsioni invitanti dove cappelli mattutini dovrebbero sciogliersi al primo sole e rivelandosi invece pervicacemente oscura, umida e gelida il giorno seguente… ma solo lì ovviamente! E Murphy ride…

Flop – Il colpo di coda invernale è appena passato e la flora precoce è ancora rada e spaurita, come quei timidi bocciolini di scilla. La mano permette di percepirne le minute proporzioni (e aiuta l’autofocus…).
L’ambiente ha una selvaggia attrattiva ma il panorama è solo un muro di nebbione (come possa un nuvolone rimanere imperterrito con quel vento lo sanno solo i meteoluminari), il cappuccio obbligato dato che piovono pezzi di ghiaccio dai nudi rami agitati e la gelida umidità comincia a penetrare. A malincuore, decretiamo annullata la missione.

Ma la settimana successiva, con patetica ostinazione, siamo di nuovo lassù, pur con consuete ristrettezze di programma imposte dalle immancabili incombenze familiari.
Solita base alla Fonte del Baregno (come centro logistico non ha proprio rivali!), la splendida conca ancora ombreggiata e deserta, col silenzio scalfito solo dal sommesso defluire delle fredde acque correnti. Scorta beveraggio alla generosa fonte, una rapida occhiata all’assonnata flora ancora in ombra e il giro inizia.

Alpe di Catenaia, questa ampia montagna aretina che sembra immagazzinare immense quantità di acqua preziosa filtrando la pioggia e la neve nei vasti e variati boschi per poi restituirla attraverso le numerose fonti e i prodighi corsi che scendono dai suoi fianchi. Fossi, rii e torrenti, importanti tributari del Tevere, nomi come Singerna e, Sovara, poi verso l’Arno, come Chiassa e altri minori che vi sboccano rapidamente senza aver possibilità di ingrassarsi troppo, salvo ogni tanto ricordare il brutale carattere torrentizio laddove scellerate opere e omissioni hanno dilagato, più malignamente e prima ancora dei straripamenti.

La placida bellezza di questi prati, boschi e radure rendono difficile pensare alla tragedia di quasi quarant’anni fa, quando alcune famiglie che univano la frescura del luogo a una celebrazione commemorativa furono travolte da un fenomeno non raro ma terribile, un temporale inatteso e una scarica di fulmini che portano la morte improvvisa e immediata. Un prezzo troppo caro per una istintiva ingenuità. Eppure noi ne abbiamo un vivido ricordo live, in tempi in cui il picnic fuori porta era un semplice ma agognato rituale domenicale.

Su per lo 085 – Dopo il doveroso e augurale salto al Sasso per una sbirciatina alla spianata della città, prendiamo a risalire il CAI 50 (la solita superstrada Verna-Trasimeno) lasciandolo poi a favore dello 086, lo stradello che porterebbe all’area di edifici ricettivi/residenziali di Fonte della Galletta, nel versante tiberino. Svoltiamo però su per lo 085, uno splendido sentiero arbustivo che sale dritto come un fuso verso la vetta e dal quale si godono notevoli panorami verso i quadranti N, montagna pistoiese compresa…

L’alta via del CAI 50 – Dal sentiero è possibile osservare l’intero crinale, tratto di CAI 50, che dal Sasso della Regina porta a Chiusi e quindi alla Verna (a malapena intravisibile sulla verticale di Gianfranco). Il cocuzzolo sul tratto finale, precedente il lento digradare che segna la fine dell’alpe, accoglie l’Eremo della Casella.

Tele-visione – Il nostro Sasso laggiù, la Croce di Pratomagno lassù, passando idealmente per Calleta. Dritto a N, come prima intravisto, troviamo l’altro, mooolto più noto e sacro Sasso
Queste stiracchiate abominevoli di
plasticottiche rendono immagini fotograficamente raccapriccianti, senza dubbio. Riteniamo tuttavia che siano in certo qual modo interessanti, per l’insolita prospettiva, per evidenziare curiosi allineamenti visivi o geografici o anche per mera rappresentazione di quello che si vedrebbe da quel punto con un binocolo. A distanze ultrachilometriche, comunque, anche attrezzi nobili non si salverebbero dai funesti effetti di foschia, pulviscolo e convezioni.

 Verso la cima – Nella parte finale dell’ascesa, dopo l’ultimo pratolino dove si tira un po’ il fiato e ci si riunisce al 50, il sentiero cambia aspetto: gli arbusti lasciano il posto a bassa faggeta, spuntano forme che sembrano antichi manufatti (o è solo affioramento di macigno?), il fondo mantiene diversa neve residua (siamo nel lato nord!), distese di bucaneve subentrano ai soliti crochi.
L’uscita sulla soleggiata prateria di vetta, infine, è molestata da perfido filo spinato divelto e semisepolto, per cui meglio frenare l’entusiasmo e guardare dove si mettono mani e piedi.

The Top – Lungi da qualsivoglia volontà di profanazione ma, dopo il salitozzo dello 085 e in assenza di alternative, il “sedile” del cippo commemorativo è stato troppo seducente per un attimo di riposo arricchito dal solito (e anelato) biscottone nuiorchese.

 Vietato calpestare le aiuole – Sull’affascinante prateria di crinale, la flora si è appena svegliata e qualche esemplare mostra effetti della propria esposizione al vento. Ma lì sotto è tutto un fermentare di germinazioni e tra qualche giorno sarà un tappeto fiorito.

Sinuose praterie d’alta quota – Lungo i Prati della Regina, il cui percorso è un godimento, da non trascurare i contrassegni biancorossi posti sui pedoni dei faggi disposti “a isole” nel caso si voglia seguire il 50.

 Apoteosi maxwelliana – Anche il Castello ha la sua ma è difficile competere con le strutture di telecomunicazione dell’Altuccia! Un fornetto a microonde, eh?

In discesa – Anche sul versante tiberino la faggeta occlude un po’ la vista sulla vallata (e meno male che sono caducifoglie!) e la visuale sull’ala del Singerna dell’invaso di Montedoglio, ferito e non ancora cicatrizzato, ne risente un po’. Gli inconfondibili profili dei due barattoli tosco-marchigiani sono invece ben visibili. Lì nei pressi, il messaggio di un cartello è esplicito, l’applicabilità però un po’ meno … Buffo, se ti trovano un coso del genere nel veicolo ti arrestano per smaltimento illegale di rifiuti speciali…

 La Pozza – Il versante sud dell’Altuccia, in pieno sole, porta dritto verso la Pozza delle Strosce, prezioso abbeveratoio di animali selvatici e non.
Oltre la Pozza, verso il Greppo de’ Ciuffi, si trovano isole di antica, contorta e bitorzoluta faggeta. Qua e là, ceppi e tronconi sembrano mistiche reliquie di un drammatico
day after.

 In giù per lo 013 – Riprendendo la via del ritorno, obbligata una capatina al piccolo ma accogliente bivacco. Da qui poi tagliamo un po’ verso W per ritrovare lo 013 (il cui percorso è segnatissimo ma l’imbocco non proprio lampante) che scende decisamente in mezzo a faggeta fino all’attraversamento del Fosso/Rio Cerfone. Questo corso non è il torrente dell’omonima famosa valle bensì quello che passa sotto il noto Ponte della Piera e che poi sbocca sul Sovara.

Chiusura d’anello – Giunti al Cul di Paiolo, fondo stradale e segnaletiche annunciano l’approssimarsi al punto di partenza. Il silente Baregno della mattina è ora un’animata area attrezzata, dove gente a tavola e profumi di barbecue ci ricordano che è quasi ora di pranzo. Soprassediamo alla sfacciata idea di autoinvitarci e torniamo ai doveri familiari …

 Flora precoce – Qualche primizia primaverile di produzione locale: crochi-zafferani viola e bianchi, scille, bucaneve…

 

La solita proiezione di tracciato su GE con i punti principali e sentieri CAI interessati, tenendo presente che qua e là ci sono state divagazioni e scorciatoie rispetto al percorso canonico. Il “cippo” intende il monumento collocato sul M. Castello.
Ben distinguibile la valletta che accoglie il Fosso/Rio Cerfone, che sgorga dal versante ovest del tratto sommitale per poi aggirare da sud tutto la sommità dell’alpe, sotto il Greppo de’ Ciuffi, e dirigersi infine a SE verso il suo destino. Visibile anche la cuspide dello 013 in corrispondenza del suo guado.

Incluse deambulazioni extra, siamo complessivamente sui 9 km e poco più di 400 m di asc. totali.

Saluti a tutti da Carlo Palazzini e Gianfranco Landini