Il lago, la rocca, la chiusa, la badia e le serpentine

Quando si dice Montedoglio, a tutti viene all’istante in mente il noto lago-invaso. Con ragione, ovviamente. In contorno al notevole bacino, però, ci sono anche altre attrazioni di carattere storico, naturalistico e paesaggistico. Una serie di passeggiate giusto attorno alla spalla orientale della chiusa ne colleziona una serie assai gustosa.

 

Per le occasioni (questo resoconto si basa su più brevi sortite causa usuali vincoli familiari) abbiamo deciso di eleggere a parcheggio preferito quello scavato nel variopinto serpentino, nei pressi di un noto agriturismo, nel fianco ovest del Poggio dei Comuni. Vi si arriva percorrendo la stradina che da Gragnano (un paio di km a ovest di Sansepolcro) porta a S. Martino, oltrepassando la vecchia pieve di un 800 m. Lì giunti, dopo aver apprezzato la bizzarra roccia ofiolitica messa a nudo dallo scavo, siamo già molto vicini al primo obiettivo, posto sul colle lì adiacente. Un sentierino abbastanza distinguibile confluisce poi su carrareccia un po’ malridotta (ma che a piedi è una caramella). Giunti verso quota 500, quando i brulli aghifoglie lasciano spazio a radure e arbusti, divengono ben visibili alcuni ruderi della fu Rocca di Montedoglio.

 

Giunti alle prime rovine, deviamo in un aggiramento antiorario dell’area, seguendo piste selvatiche, penetrando poi l’area “archeologica” dalla parte opposta e non senza qualche scorticatura da vegetazione poco benevola. Tra zone formalmente interdette e reliquie ormai annegate nei rovi (oltre a vaiacapireté quanti depredamenti), per il profano non rimane molto da vedere. Ma vale la pena rendersi conto della cosa. Là all’orizzonte, l’onnipresente sagoma del Montauto fa da orientamento.

 

La “rocca” di Montedoglio si posiziona sulle stesse rocce ofiolitiche che caratterizzano i Rognosi e chi vi si era insediato, i conti di Montedoglio, erano dinasticamente intrecciati con risonanti nomi locali come Galbino, Montauto, Barbolani e pure Tarlati.
La posizione, così come quella biturgense e di molte altre roccaforti feudali nelle circostanti alture, trova favori e interessi anche dalle vicine vie Maior e Ariminensis.
Si cita che il nome Montedoglio derivi da Monte d’Oro, forse per i tipici riflessi della peculiare roccia del colle, che il Repetti cita come gabbro diallargico (roccia magmatica) dai bronzei riflessi. Più o meno qua sotto avvenne (sostanzialmente per finta) la Battaglia di Anghiari, ovvero la sottomissione di S. Sepolcro al dominio fiorentino, mentre Arezzo era già caduta da tempo.
Sviscerando ulteriori curiosità sul solito Repetti, oltre a dettagli su intrecci genealogici, interessi camaldolesi e un ruolo come capoluogo di contea, si rimane un po’ sbigottiti dal riportato nomignolo di fatalbecco… Perbacco, ma non era quel maniero, ora praticamente rasato, tra il Poggio di Castiglione e Bagnolo, 3.5 km a WSW da qui? Va be’ che anche quello era anche stato in orbita Galbino, però…!
L’attuale stato di penosa rovina, comunque, sembra dovuto a storia quasi-contemporanea. Durante l’ultimo conflitto mondiale, colle e strutture – assieme all’adiacente Fungaia – costituirono sede di efficace caposaldo difensivo tedesco che, mediante artiglierie, doveva coprire il ripiegamento delle proprie forze verso la Gotica. Dal 1943 il sito fu quindi martellato da terra e aria, cedendo infine in agosto a seguito di sortita di truppe alleate.

 

Ripresa in discesa la carrareccia, circa a metà del precedente percorso di salita, imbocchiamo una mulattiera che scende verso il grande specchio d’acqua, andando poi a lambire il fianco sinistro dello sbarramento, che è quello che lascia scorrere a valle il residuo Tevere e tutt’ora con la ferita aperta dei conci spezzati. Lungo la discesa si cammina anche su variopinti affioramenti.

Il cedimento improvviso dei conci di sfioramento della diga avvenne nel dicembre 2010. Tutto l’affaire, dalla ricerca cause e responsabilità fino al relativo ripristino (addavenì), costituisce un grande esempio di funzionamento di res publica…
Al momento, sia Google Earth che Bing ancora ne mostrano le parti riverse che hanno ceduto.
Chi ricorda la barriera in costruzione negli anni ’80 con la megascritta COGEFAR, ben visibile dalla novella superstrada durante le sortite estive in riviera adriatica?

 

 

Da qui si prosegue a fianco delle strutture seguendo il fiume, entrando nell’ANPIL Golene del Tevere, passando per la dismessa “officina elettrica” ENEL, una serie di ruderi che c’era anche intenzione di trasformare in incubatoio di novellame (pescicoltura). A monte si nota ancora la sovrastruttura di condotta che portava acqua alle turbine. In alternativa, si devia verso il complesso di edifici di Le Vigne, poco oltre i quali c’è la vecchia cava di serpentino.

 

Dentro la cava siamo immersi in un paesaggio dai colori alieni (la panofoto non rende l’idea causa controsole). Vi contribuiscono anche il cristallino rivolo d’acqua che attraversa l’area e il laghetto su cui finisce. Una buona palestra di cross, in effetti! Tornati sullo stradello indi poco oltre, un ripido sentierino scalinato di ofioliti, una sorta di scolo, non segnato ma fanno da guida i tralicci di alta tensione, riporta quasi direttamente al parcheggio. Continuando invece sulla carrareccia, sul ramo sinistro che poi riporta anche a S. Martino, si può viaggiare paralleli e leggermente a monte dell’infrascato fiume. Sulla deviazione a destra, invece si risale verso la diga paralleli al corso d’acqua fino alle rombanti gradonate di Gorgabuia.

 

 

Ripartiamo (idealmente) adesso dal citato parcheggio, in una mattina in cui sin dal capoluogo tutto era abbuiato da spesso nebbione che magicamente si dissolveva appena a destinazione, giusto in tempo per immortalare gli ultimi sbuffi sull’acqua…

… lasciandoci a bocca aperta per gli scenari che si paravano! Le nostre misere foto non rendono l’idea delle deliziose sfumature cromatiche che per qualche minuto hanno incorniciato quadretti già di per sé attraenti.
Stavolta andiamo verso oriente, seguendo la carrabile salvo al solito qualche occasionale digressione. Nella panoramica sopra, in primo piano il colle di Montedoglio, dal quale – per sola continuità narrativa – siamo appena ridiscesi.

 

Il lago di Montedoglio è un bacino artificiale progettato nei primi anni settanta, conseguenza dello sbarramento sul fiume Tevere realizzato a partire dal decennio successivo. È il lago più esteso della Toscana. Qui come non vorremmo più vederlo…

 

 

Proseguiamo seguendo la costa di Poggio dei Comuni giungendo a Case Lucava, il minuscolo e spettrale abitato sulla sponda, apparentemente integro, che forse in un altro mondo avrebbe potuto essere un signor agriturismo.

 

Dopo la comoda ma mai noiosa camminatina, eccoci dunque al target dell’occasione: Badia Succastelli (o Sucastelli).
Da un punto di vista formale, ma anche di fatto, la struttura è praticamente inavvicinabile, primo per la occludente e graffiante vegetazione poi per evidenti stati di precarietà dei corpi di fabbrica. Un vero peccato, una visita avrebbe rappresentato un tuffo nel medioevo rurale…

Fondata dai Galbino e strettamente connessa alla rocca, si tratta di struttura benedettino-camaldolese, dedicata a S. Bartolomeo. Edificata, dicesi, su costruzione preesistente, nel tempo ha perso ogni importanza, con conseguente abbandono.

 

Intromettiamo alcune viste estive d’altra occasione, giusto per meglio rendere le descrizioni. In alto, una vista panoramica dalla carrabile che da S. Pietro in Villa costeggia a nord il Poggio dei Comuni verso occidente, dirigendosi quindi alla Badia ma dalla parte opposta. Ben soleggiato, il Poggio (sic!) perforato dall’autostrada. Tra il punto di ripresa e detto Paggio, l’ala est dell’invaso, dove scorre il Tignana, in un periodo di secca che rende ben visibili le strutture di intubamento acqueo e la dolce immersione della vecchia statale Tiberina. Il dritto manto residuo di questa che lentamente si immerge appare anche nell’ultimo fotogramma. Altri due scatti propongono la Badia come intravista dalla New Madonnuccia.

 

 

Torniamo a bomba e in particolare a Gorgabuia, sede di precedente diga. Nelle fasi grasse si ha lo spettacolo delle rombanti gradonate seguite da vorticose e fragorose rapide. La carrareccia a monte, che riprende il guado e ricollega a Le Vigne, può in tali fasi presentarsi in veste… subacquea! Goretex obbligatorio…

 

Lungo la carrabile, i segni ormai spossati di interventi di valorizzazione o sistemazione, come argini stradali, segnaletica di pericolo e turistica e piccole aree di sosta con strutture lignee divenute ormai alquanto instabili. Malridotta appare anche l’Officina Elettrica ENEL, con tanto di paranco in bellavista, ma sempre meglio di adiacenti corpi di fabbrica. C’era un progetto di trasformarla in incubatoio di novellame (stadio giovanile di pesci, abbiamo guardato sul vocabolario). Sotto, la chiusa da valle, in sfondo il Poggio degli Scopeti.

 

 

Dalla zona della Badia, per rimanere in tema e meteo permettendo, si possono avere interessanti viste della “piccola Verna”, l’Eremo – benedettino d’origine e francescano poi – del Cerbaiolo. La distanza è quasi 10 km, quindi non lamentiamoci, specialmente se si opera con consueta plasticottica e mano libera… Al centro, una ripresa da Sigliano (DSLR e tele lunghetto). A destra, con grandangolo…

 

Trasportiamoci adesso (sempre per amor di cronaca) sull’argine destro e a valle del Guado, un’area caratterizzata da anse, alveo, rivoli, pozze e acquitrini, con il contorno di area alluvionale in passato fortemente sfruttata per escavazioni di ghiaia e sabbia, tutt’ora condizionata anche dall’ereditato degrado delle relative attività dismesse.
Sono le golene. Progetti di recupero a fine anni ’90 hanno comportato anche una locale bonifica. Oggi fa buona mostra dei suoi aspetti insoliti e pure peculiari, con scenari selvaggi ricchi di pioppi, salici e varietà di arbusti, offrendo valide attrazioni naturalistiche oltre a fervente attività ittica debitamente regolata.
Comodo entrarci dall’area codificata come Inaugurazione, giusto di fronte all’abitato di Viaio, dove stavolta è conveniente parcheggiare (se si va a fettoni).

 

Quello che rimane da laghi di cava e vasche di decantazione inerti, oggi può rappresentare coltura ittica e anfibia.
L’area ha visto delle iniziative di recupero e valorizzazione durante i primi anni del 21° secolo, con alcuni investimenti di enti locali anche in creazione di percorsi ciclopedonali, aree di sosta e inerente accessoristica ma – anche grazie alla non proprio innata civiltà degli avventori – vi si avverte una certa incuria.

Alcune dependance del corso fluviale assumono tinte un po’ insolite. Non ne conosciamo l’origine. In ogni caso, Elia il Lagotto non si fa mai scrupoli quando c’è da balneare…

Nella riportata mappina autarchica (ridisegnata su base CTR Toscana e toponomastiche tratte da volantini delle locali istituzioni di pesca) si nota il sinuoso e spesso multiplo andamento del fiume in quest’area, tra l’altro dicesi artefatto in quanto dovuto a un vero e proprio spostamento di un paio di miglia verso NE del letto del fiume, effettuato attorno al 1200, per guadagnare terreni coltivabili sul lato Anghiari. Al tempo, molti i mulini, anche su reglia scavata ad hoc. Le anse riportate da Piero sulla Vera Croce dovrebbero quindi essere più o meno attuali. I percorsi riportati sono quelli “ufficiali” ma ne esistono diverse varianti wild. Il Guado è sostanzialmente sfruttabile con fuoristrada tosto.

Le golene divengono area protetta (ANPIL) nel 2004, con una estensione di circa 200 ha, circa equamente suddivisa tra Anghiari e Sansepolcro.

 

BIBLIOGRAFIA MINIMA (reperibile su internet):

  • L’eco del Tevere (numeri vari);
  • Orefice, Studio storico […] città di Anghiari […], Comune di Anghiari, 2005;
  • A, Czortek, Scuole monastiche e mendicanti in Alta Valle del Tevere nei secoli XIV e XV;
  • sito web Valtiberina Toscana;
  • sito web Storia Tifernate e altro, di A. Tacchini;
  • Repetti, Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana (epoca granducale).

 

… e poi venne la peste del 21° secolo…

Carlo e Gianfranco