Ponti medievali, vie e badie dimenticate!

Qualche scarponata nel basso versante casentinese del Pratomagno, calpestando antichi sentieri ormai scomparsi e ammirando manufatti millenari nel loro triste oblio. Ma l’area in oggetto, ristretta solo dalla nostra ignoranza e possibilità, non è che un esempio delle testimonianze, spesso nascoste e dimenticate, di un crocevia di storia che interessa di fatto tutta la provincia.

Questo massiccio, che l’Arno scava e avvolge nel suo voltar di muso agli aretini, formando così le due parallele valli del Casentino prima (Valdarno Casentinese) e del Valdarno poi (Valdarno Superiore), con quest’ultima che lo conduce fino alle porte di Firenze, è una delle montagne più grandi e alte del territorio aretino.
I suoi boschi di castagni, di abeti, di faggi e di querce hanno fornito cibo e calore a tutto il circondario: un duro lavoro, quello dei carbonai e dei legnaioli, degli oliandoli e dei pastori. Duro e spietato.
Da qui passavano cavalieri e pellegrini, eserciti e mercanti, che attraversavano il Pratomagno da una pieve a un castello, da un borgo a un monastero. Gli storici parlano di almeno tre trasversali, da Caspriano giù fino alla Crocina, e una dorsale di crinale, la Via della Montagna. Di fatto, tutto il massiccio è inciso da percorsi grandi e piccoli, antichi e meno, sempre vivi, moribondi o sepolti, collegando i rami di valle con luoghi e località che hanno segnato la storia di questa costola d’appennino.
Ogni angolo di Pratomagno racchiude peculiarità storiche, naturali e paesaggistiche uniche ma anche solo farsi i sentieri segnati CAI che ricadono in provincia ci vuole una vita (cosa peraltro restrittiva, dato il poco senso di non contare anche la restante area fiorentina, e figuriamoci se contiamo anche tutto il “non segnato”.
Se vogliamo addensare degli obiettivi ad alto contento storico ed emotivo nonché particolarmente gratificanti per le loro particolarità, e pure vicinissimo al capoluogo, si potrebbe ad esempio considerare l’area compresa tra Fonte allo Squarto, Faltona e i due Pontenano (quello “di sopra” e quello “Pieve”).

Lungo il 32 nella Badivecchia… – Nel contesto di nostro interesse, il CAI32 va a collegare il camping di Fonte allo Squarto (CT/00) con Badia S. Trinita e Capraia, dove ambedue le estremità si offrono a parcheggio auto. È un sentiero assai attraente per le belle viste d’orizzonte, per le nude e scoscese arenarie sull’incassato corso del torrente Capraia e per la variegata vegetazione, sia d’alto fusto che arbustiva. L’abetina, che in estate rende piacevolmente ombrosa la salitina dopo la passerella sul fosso della Badia (futuro Capraia), prelude l’arrivo alla diruta Badia, poco oltre la quale troviamo la borbottante e invitante fontanella che scaturisce dal masso (il cui tubo in polietilene probabilmente non è medievale …). Avrà attinenze con l’originaria “Fonte Benedetta” che completa il nome dell’insediamento religioso? Peccato però per l’adiacente e secolare castagno, schiantatosi per cedimento dell’impianto radicale.

…e sulle Coste del Picchio – A lato dei resti della Badia si trova un’ombreggiata radura che in estate esercita sicuramente un grosso invito a picnic con siesta… Proseguendo, sempre sul 32 che ora diventa un vero sentiero pedonale, ricco di arbusti prelibati, si vanno a percorrere, in mensola e in costante discesa, le coste NE del Capraia, dette del Picchio, che piombano a capofitto sul torrente, anche ben più di un centinaio di metri sotto, fino ad arrivare al cimitero e all’abitato di Capraia.

 

Iniziando la passeggiata proprio da Fonte allo Squarto, nota sede di campeggio in piena Abetina del Bardi a circa 1250m e lungo il “grosso uncino” che dalla Panoramica porta al Pian dei Lavacchi (Monte di Loro), per poi seguire il CAI32, si gode anche il bel panorama frontale che va da Poti all’inconfondibile gobba del Sacro Monte, con tutta Catenaia in bel profilo dritto a levante.
Attraversato il fosso della Specchiana e lasciato lo stradello principale, finalmente ci si tuffa nel bosco di poderosi castagni secolari, dove numerose giacciono purtroppo anche loro spoglie.
L’incontro con la deviazione del CAI44 prelude a un accelerarsi di novità: gli aghifoglie prendono il sopravvento, si attraversa in passerella il Fosso della Badia (futuro Capraia), i manufatti diventano evidenti. Infine l’ombrosa rampa oltre la quale, magnificamente illuminati da un caldo sole d’autunno, spuntano i miseri resti della millenaria Abbazia di S. Trinita in Alpe di Fonte Benedetta. Miseri per il loro stato, non certo per le dimensioni o per l’emozione che provocano.

La badia abbandonata – I ricordi di qualche decennio fa dipingevano muri, absidi e colonnati sì diroccati ma incastonati come gioielli in una ammaliante cornice di verde. Una sorta di piccola S. Galgano nostrana. Ora però quella cornice sta fagocitando il quadro, le cui radici sono ultramillenarie. Al solito, all’incuria si aggiungono immancabilmente vilipendio e saccheggio e alla nostra vista si presenta uno scenario triste e desolante, a cui qualcuno, per mera pro-forma antinfortunistica, ha aggiunto un reticolato perimetrale.
Il primo abbandono dell’Abbazia avvenne a fine medioevo, quando l’area perse interesse anche a seguito delle rappresaglie fiorentine. Adesso ne testimoniamo un’altro, attuale, sottolineato da crolli, dalla rivincita dei rovi e dall’immancabile vandalismo.

Quanto sopravvissuto nel lato absidale della teutonica Badia, con Gianfranco che fornisce una metrica di proporzioni, danno un’idea delle non trascurabili dimensioni delle sacre vestigia. I conci di arenaria e i mozziconi di colonnati si mostrano belli tosti e non proprio da cappellina montana. L’annesso edificio nel lato sud ha avuto probabilmente altre storie, usi e interventi, mentre si dice che dell’originaria struttura monastica non sia rimasto nulla.

L’insediamento monastico, di congregazione benedettina-cluniacense, sembra abbia radici di fine X sec. E anche per questo (ma non solo), allo svanire di una iniziale emozione che ricorda magari qualche avvincente racconto fantasy, sopravviene lo sconcerto per il desolante stato di incuria.
Proseguendo sul CAI32 troviamo la fontanella con rumoroso getto intermittente (sarà sempre così?), un bel piazzale ombreggiato con evidenti inviti al picnic, la deviazione che porta al CAI40. Dopodiché, il nostro 32 si tuffa nell’affascinante discesone in alta e ripida costa sul torrente Capraia, giù fino all’omonimo borgo, quattro chilometri di scarponata e quattrocento metri più in basso.

Incontri – Gianfranco, tra il preoccupato e l’incuriosito, scruta lo scosceso versante delle Coste del Picchio, al cui esile ciglio si era avvicinato alla ricerca di inquadrature, inconsapevole che un paio di metri lì sotto un notevole ungulato scrofoide se ne stava per solitari fatti propri per poi, ‘sì scortesemente importunato, darsi ad una rumorosa fuga.

Il sentiero, ora stretta pista pedonale, regala splendide vedute dal M. Lori al M. Ferrato. Il bosco di aghifoglie lascia il posto a castagni, querce, roverelle e poi ciliegi selvatici, sorbi, frassini e arbusti  di biancospino e di rosa canina dai frutti rossi e ancora more selvatiche in mezzo al macigno affiorante delle scoscese Coste del Picchio. Le quali ci ricordano anche che è bene guardare dove si mettono i piedi.
Da Capraia, delizioso borgo raggiungibile anche in auto e la cui attuale chiesa sorge sui resti del primevo castello raso al suolo dal solito Vitellozzo Vitelli, è immancabile la deviazione, in tortuosa discesa, verso il sottostante ponte romanico, detto di Sasso, di presunta datazione al XII sec.
Qui sentiero si fa più ripido man mano che si scende, provvedendo anche un interessante balconcino su cascatella di un affluente a fronte di uno sperone roccioso. Vaghe tracce di selciato e contenimenti inducono a ritenere che si stia pestando qualcosa di antico. Un probabile vecchio sentiero, ormai infrascatissimo, se ne va a mezzacosta verso sud, forse collegando con la vecchia strada che saliva al borgo (che abbiamo tentato per poi desistere). Poi finalmente, quasi all’ultima voltolina, si intravede la scura e mimetica sagoma del ponte, quasi che la scura valletta lo voglia tener celato. Sembra nulla, ma in men che non si dica siamo scesi di un centinaio di metri.
Il robusto manufatto che prova come la zona fosse interessata da un’importante via di comunicazione, a sua volta probabile parte di un sistema di raccordi locali e assi viari basati su antiche strade romane e nuove bretelle medievali.

Quasi mille ma li porta bene – Spanna più, spanna meno, il Ponte di Sasso ha circa l’età del Buriano, ma interessando solo un remoto percorso di pellegrinaggio e transumanza è costruito con molta più umiltà e povertà di risorse. L’aggressione della natura dev’essere notevole da queste parti e sicuramente il manufatto non ha beneficiato di grandi manutenzioni o restauri eppure, forse anche grazie alla pietosa catramatura del piano di calpestio, è lì, praticamente intatto, con quel suo schietto e inconfondibile arco romanico. Come altri manufatti di quell’epoca, non si presenta certo sfavillante o spettacolare come tante costruzioni più note e modaiole. Va invero contemplato con calma, assaporato nella natura in cui è immerso e immaginato transitato da viandanti, pellegrini, mercanti e greggi in tempi in cui la stampa di Gutemberg neanche esisteva ancora e Arezzo, dopo aver toccato l’apice della sua storia, stava soccombendo all’egemonia medicea. L’essere oggigiorno praticamente inutilizzabile come via di comunicazione, men che meno per uso veicolare, deve aver contribuito al mantenimento della sua integrità. Incredibilmente, non è riportato in nessuna cartografia escursionistica (di nostra conoscenza) e compare – anonimo e minuscolo simbolo – solamente nelle CTR.
Nel caseggiato di Capraia, da cui si ha l’accesso est che è sicuramente il più battuto, si trova finalmente una formale indicazione presso il cimitero, quando ormai l’avventuroso scarponatore fai-da-te sta per perdere la speranza. Beh, probabilmente in estate basta seguire la coda …

Una simpatica guida locale – Giovane autoctono a trazione integrale, Tai ci ha segnato la strada dalla natia Capraia a oltre il Ponte di Sasso e ritorno, onorandoci della sua compagnia anche al frugale pranzo presso la deserta ma invidiabile struttura di locale aggregazione. Ogni tanto Tai era fonte di patemi causa eccessiva intraprendenza nell’approccio degli scivolosi baratri a picco sul Capraia e suoi affluenti… Nella ripida risalita, causa anche lo sfavorevole rapporto tronco-zampe, abbiamo provveduto a qualche opportuno pit-stop con Franco che gestiva i rifornimenti. [Nota: il nome del fedele cucciolo ci è stato rivelato dal legittimo proprietario]

Mediante diverse sortite, anche invernali, ci siamo addentrati in diversi imbocchi di quelli che sicuramente erano sentieri nell’area a SE di Capraia, nel tentativo di trovare un accesso diretto al ponte risalendo gli argini del torrente. Dopo qualche spino e scivolata di troppo, non abbiamo fatto gli eroi… però, magari rimpiangendo di non aver portato anche machete e arpioni, siamo riusciti a riaprire il passaggio che raggiunge il ponte risalendo la riva destra del torrente. L’impresa, con eroico spirito di abnegazione e impavido sprezzo del pericolo […], ha visto diversi dietrofront per altrettanti vicoli resi impraticabili da abbandono e cataclismi ma ci ha anche portati in intatti e selvaggi angolini lungo le rive dell’impetuoso e spumeggiante torrente. Il che significa: ci siamo divertiti come bambini al parco giochi!
Suona comunque strano come l’accattivante percorso che transita sul Ponte di Sasso, anche quello attualmente segnalato per quanto non troppo elegantemente, non sia un ufficiale sentiero numerato, così come l’antico manufatto non risulti indicato nelle cartografie escursionistiche.

Alla ricerca del passaggio perduto – L’area della Selva di Pontenano è densa di stradelli e mulattiere, la cui cartografia, salvo i percorsi biancorossi ufficiali, si rivela spesso indifferente, lacunosa o arbitraria. L’accesso ovest al Ponte di Sasso, raggiungibile da una pista che si stacca da un tornante tra Pieve (“Pontenano di sotto”) e Pontenano (“di sopra”), è localmente segnato in modo casalingo, interessando non solo i pedoni ma, novità nella segnaletica, anche le foglie… Purtroppo l’abbandono ha fatto sì che diverse piste vedano la propria individuazione o percorribilità implacabilmente compromessa da edere, vitalbe, rovi, salsapariglie, tronchi e frane nonché insidiosi torrenti (e si fa presto a dire “guado”: in inverno sono belli grassi e scivolosi; Carlo, col suo ginocchio ballerino, preferisce starne alla larga). Ma perché darsi pena quando rimangono diversi altri percorsi sicuri e magari segnati? Semplice: andavamo in cerca di anelli toccanti i punti topici, Ponte di Sasso compreso, ma di lunghezze inferiori e/o evitanti l’asfalto. In molti casi abbiamo dovuto desistere o rimandare, magari dopo qualche graffio o “culata” di avvertimento … però spesso l’ardire ci portava in selvagge e seducenti ambientazioni in riva allo spumeggiante e tumultuoso torrente nella sua foga invernale, il cui rombo è ben avvertibile da tutta la valletta.

Capraia e PSPaolo – Pontenano di sotto, quello “Pieve”, offre un bel parcheggio con vista panoramica verso est. Nella sua “zona pedonale” troviamo l’antica struttura della Pieve di S. Paolo, che dà origine al toponimo, la cui vista frontale è però vilipesa da nugoli di cavi aerei, pessima abitudine molto italica (nella foto, alcuni di questi sono stati rimossi, anche se un po’ maldestramente).
Capraia (Caprajone), come Pontenano (di sopra), era sede di castello. Purtroppo da queste parti si ebbero tristi tempi di scorrerie pro-medicee del Vitellozzo e di castelli non c’è più ombra.

Nella tracciatura, con la valle del torrente vista frontalmente, si riconoscono i due abitati, l’accesso ovest (imboccabile dalla comunale tra Pieve e Pontenano) nonché svariate divagazioni nella riva destra e attorno Capraia, tutte riconducibili a tentativi di esplorazione alla ricerca di passaggi spesso ormai non più praticabili. Risalendo la valle, fuori inquadratura, giacciono le spoglie della Badia.
Si ritiene che l’area fosse interessata dalla fantomatica “via abaversa”, una delle trasversali tra Valdarno e Casentino e utilizzata per transumanze, pellegrinaggi e piccoli commerci. Probabilmente collegava S. Giustino (sulla Cassia Vetus alias Setteponti), il passo della Crocina (il Malluogo del don Bacci), e i luoghi descritti, con verosimili reticoli e diramazioni verso pievi e castelli vicini lungo direttrici di collegamento con la via Maior (la Casentinese che forse però piegava verso la Valle Santa), Arezzo (anche via Bicciano), l’alto Casentino verso il passo di Caspriano (Londa).

Un saluto a tutti da Carlo Palazzini e Gianfranco Landini

Alcuni riferimenti (senza nulla togliere ad altri non riportati):