I classici anelli della Lama

Irraggiungibile se non con gli appositi pulmini estivi o con la sola propulsione muscolare, al di là del crinale che sovrasta Camaldoli e Badia Prataglia e ai piedi dello scosceso versante romagnolo, c’è un piccolo e recondito eden. Una placida e tranquilla conca, tre edifici (di cui uno, la vecchia foresteria, pericolante), una chiesetta, zero residenti e una storia plurisecolare legata allo sfruttamento del legname delle poderose e incombenti abetine. È La Lama, uno dei cuori antichi del Parco. Oggi può far ridere, ma siamo nell’area che era conosciuta come “romagna toscana”, espressione che sottolineava il dualismo tra geografia e amministrazione, data la proprietà fiorentina prima e granducale poi fino a inizio 1900.
La Lama è tipicamente una meta dello scarponatore toscano che vi arriva attraverso i tre percorsi di cui parleremo. Una strada bianca, che parte dal Cancellino (sulla regionale tra Badia Prataglia e il Passo dei Mandrioli) e vi giunge dopo 20 km e un numero incalcolabile di tornanti, va inoltre a ricalcare il novecentesco tracciato ferroviario esercitato da un locale e spregiudicato imprenditore per uno sfruttamento senza troppi scrupoli, oggi regno dei bikers.

 

classici anelli della Lama

Assumendo il Passo Fangacci come base, i tre percorsi possono essere visti come due anelli adiacenti, accomunati dal CAI227. Ovviamente, è solo un modo di vedere le cose, basato sulla personale assunzione che detto 227 (il famigerato “Scalandrini”) è troppo ammaliante e avvincente e non può essere omesso. Inoltre, vedo gli anelli con la relativa percorrenza già orientata, dato che il solo pensiero di fare il 227 all’ingiù, magari in precoce primavera o autunno inoltrato, mi fa rabbrividire.
Ciò premesso, con l’aiuto della rappresentazione prospettica delle tracce GPS, diamo un’occhiata alle geometrie dei tratti componenti i nostri anelli:

  • discesa via Bertesca-Forconali (ciano): 7.5 km
  • discesa via Gioghetto-Acuti (rossa): 7.8 km
  • risalita via Scalandrini (gialla, solo CAI227): 3 km; va aggiunto un chilometrino dalla Lama e un altro mezzo se si passa dall’Aia di Guerrino
  • ascensioni totali anello via Acuti: 630m
  • ascensioni totali anello via Forconali: 750m

Quelli riportati sono valori medi e puliti, da aggiungere immancabili e non trascurabili divagazioni e gironzolamenti.

 

Base Point Passo Fangacci

Passo Fangacci

Passo Fangacci è base ideale per scarponate in questa zona: parcheggio spazioso, raggiungibile via Camaldoli o via Badia Prataglia, hub di sentieri, attrezzato e con fonte. Nel nostro caso prendiamo in considerazione il CAI00 verso est, coincidente con la provinciale fino all’Aia di Guerrino, e la provinciale stessa verso ovest e Prato alla Penna, a meno che non si voglia aggiungere un’altra scodellata di ascensioni passando per il Tre Confini. Oddio, capita che, come nell’occasione in foto, alla minima neve venga sbarrato l’accesso veicolare e tocchi sciropparsi un bel popò di CAI84/GEA dal Capanno (un altro paio di chilometri e altrettanti di ettometri verticali + ritorno). La stessa comoda provinciale verso Prato alla Penna diventa comunque meno comoda quando tiene copiosa neve bella ghiacciata data l’esposizione a nord.
Su quel segnavia “Lama 3.9km 1h” torneremo poi.

 

Giù per l’Acuti

sentiero acuti

Al Gioghetto, in corrispondenza di una ben visibile deviazione a destra con sbarra, si inforca in discesa il CAI229 “Acuti”. Nella prima parte, tutta di mezzacosta, il passeggio è agevole (salvo fusti schiantatisi sul sentiero) e l’ambiente incantevole: faggeta, poi bosco misto poi isole di pure abetine e daccapo. A fine inverno, i nudi caducifogli permettono visioni lontane ed è tutto uno scrosciare di torrentelli e qualcuno permette l’abbeveraggio senza troppe contorsioni. Al brusco tornantone destro, che quasi inverte la direzione di marcia, troviamo la tabella “Acuti”: qui l’originale percorso dei tronchi provenienti dalla foresta della Lama proseguiva verso il Giogo Seccheta. Per la cronaca, siamo a qualche metro dall’invalicabile bordo di Sasso Fratino. Alcune arenarie assumono forme imponenti e bizzarre, come la “fetta di torta” o le numerose mensole-tettoia (rifugio per temporali?), altre volte mostrano incredibili giochi di apparentamento con le radici dei faggi.

 

sentiero acuti

Altro tornantone, sinistro, e diventa ben visibile (e un po’ disagevole, vista la pendenza: occhio all’allucione!) l’antica pavimentazione. Da questo punto, dove si stacca un ardito sentiero verso l’origine delle famose cascate, si cammina paralleli al Fosso dell’Acuti che, prima a destra poi a sinistra, ci accompagnerà con splendide cascatelle fino a destinazione. Passando davanti al bivio del 227 immancabile un brivido pensando a quello che ci aspetta da lì a qualche ora … Lo spianare del cammino comunque annuncia la vicinanza della meta: il Fosso s’allarga e diviene placido e sommesso, l’ambiente diventa meno selvaggio, l’aria meno cupa: è l’oasi della Lama.

 

La Valle dei Forconali

sentiero forconali

Lasciando Fangacci nel senso opposto, si segue lo 00 attraversando l’Aia di Guerrino, salendo tra i faggi a quota quasi-1400 lambendo Poggio allo Spillo, transitando per il Passo della Crocina e scendendo al Passo della Bertesca. Qui si prende il CAI223, sentiero bello lungo e vario, che porta accanto alle abetine più mastodontiche e impressionanti dell’intera foresta. Al solito, l’ambiente è crudo e selvaggio: giganteschi fusti schiantati offrono una estemporanea divagazione, altri portano i devastanti segni di un fulmine. Ma quando si ergono sono imponenti colonne che sembrano reggere la volta celeste. Un micro mondo ricco di vita dentro un vecchio ceppo illuminato da un infiltrato raggio di sole, con il buio sfondo che testimonia quanti f/stop di differenza ci siano. Il Fosso dei Forconali ci scorre appresso, ben incassato nella roccia che porta lo sguardo su verso l’incombente Monte Penna . Tocchiamo con mano una nota e singolare simbiosi tra un masso e un alberello e – finalmente ma non troppo – sbuchiamo nella soleggiata radura dov’era la vetreria che sfruttava sfridi e prodotti della segheria a energia idraulica, frutto del raziocinio di Karl Siemon. Guadato il Fosso ci ricongiungiamo infine con il già decantato 229 e dove troviamo i molto invitanti tavoli annessi alla Fonte di Francesco.

 

La Lama

la lama

Se si ha la fortuna di non trovarci chiassose e/o invadenti comitive ma solo quei gruppetti rispettosi della natura e degli altri, La Lama mostra sicuramente il meglio di sé ed è possibile assaporare tutte le pervasive sfumature del rigoglio di vita vegetale e animale che la contraddistingue nel sottofondo di fruscii, fremiti, sussurri e richiami accompagnati dal sommesso mormorio delle acque. Visto l’isolamento del luogo e i tipici meteo-voltafaccia appenninici, fa piacere la presenza del minuscolo ma solido e fornito rifugio recentemente ristrutturato.

 

la lama

In genere, alla Lama si consuma il leggero pranzo (leggerezza suggerita dalla successiva risalita) e magari il riposino si trasforma in pennichella. Per gli appassionati di botanica, dietro la chiesetta c’è un arboreto ma è di fatto l’intero luogo una sfilata di lussureggianti specie vegetali che vanno da un biancospino secolare a pioppi, ontani o torreggianti sequoie.
Poco più di un secolo fa, qui sarebbe stato tutto un fervore di attività basata sui fusti di abete, con foresterie per le manovalanze e pascoli per le decine di bovini che si sarebbero poi sobbarcati il duro e lento strascico dei lunghi tronchi su per l’Acuti.
Se si ha tempo, consigliato un salto alla Fonte Solforosa (agevole stradello tutto in piano, in meno di un’ora si va e si viene).

 

Nursery per anfibi

la lama anfibi

Trovandosi alla Lama ai primi tepori primaverili, sparsi negli angoli tranquilli e stagnanti, spesso acquitrinosi e da cui il toponimo, formati dalle acque dei Fossi qui convergenti, non possono certo sfuggire le nutrite colonie di embrioni di anfibi. Anche il cartello segnala la cosa, soprattutto in termini di guardare dove si mettono i piedi. Cosa tra l’altro da fare sempre, vista la numerosità di stercorari che attraversa sempre dissennatamente i sentieri … facciamo loro i passaggini zampedonali!

 

Colori

la lama fiori

Da marzo ad autunno inoltrato, non mancano vividi colori floreali che accompagnano il cammino. Camminare nel Parco satura i fotorecettori (elettronici o anatomici) di verdi e marroni e ogni variazione spicca gradita. Iniziano i crochi-zafferani, che spesso devono farsi largo sulla neve, e poi giù a rotazione di specie ed esemplari di cui solo gli esperti sanno i nomi ma dei quali tutti gli avventori si beano della presenza (se gli avventori precedenti non li hanno massacrati…).

 

La faticosa risalita degli Scalandrini

scalandrini

Giunta la mesta ora del ritorno, il 229 conduce molto gradualmente alle crescenti pendenze del cammino ma, all’imbocco del 227, l’impennata arriva abbastanza brutale, quasi traumatica. Chi, come il sottoscritto, è mollaccione e attempato farà bene a rispettare alveoli e coronarie e soffermarsi spesso a tirare il fiato. Tra l’altro, solo così si può gustare la crudezza dell’ambiente, la natura ancestrale, intatta e anche spietata ma anche per questo penetrante e ammaliante. Ogni senso viene sedotto, non solo la vista. E bisogna osservare anche i dettagli, non solo un frettoloso e vago sguardo attorno. Si, certo, viste le asperità, la larghezza e la precarietà del sentiero è bene anche guardare dove si mettono i piedi, dato che il Fosso dei Fangacci-Scalandrini rumoreggia laggiù sotto, a picco e senza balaustra… E quando tutto è coperto di viscido fogliame e si trovano pure piante di traverso qualche patema può anche spuntare. L’emozione cresce al diminuire della velocità media: si vedono le prime avvisaglie di cascatelle fra massi scombinati, ma lasciamo l’argomento per dessert. In un modo o nell’altro, comunque, si arriva alla gradinata manufatta, quella con un corrimano provvidenziale ma non troppo ergonomico.

 

scalandrini

Altre voltoline paracardiache e finalmente si raggiunge il terrazzino belvedere, preziosa occasione per tirare il fiato e gustarsi il marnoso panorama verso Ridracoli e sul pianoro della Lama e delle dirupate foreste circostanti (“Urca, eravamo laggiù?”). Il sentiero è talmente incassato e coperto da fitte chiome che anche il GPSr fatica a mantenere le accuratezze ortodosse. Non mancano le consuete tettoie naturali. Il rumore dell’acqua, intanto, richiama una delle caratteristiche di attrazione locale, ma intanto si sale, e poi si sale … Il ponticello è un gradito landmark: segna grossomodo la mezzavia ma soprattutto che ora le salite saranno meno scorbutiche, l’ambiente circostante più aperto e morbido ma sempre immancabilmente affascinante.
Non si discute che certi percorsi alpini o anche apuani siano enormemente più aspri e violenti, ma è certamente raro, dalle nostre parti, trovare un tale connubio restando immersi in una ambientazione sì selvaggia ma non certo arida e inerte bensì straripante di vita vegetale e animale. Il 227 lo definirei soprattutto intenso.
Poco prima di raggiungere il Passo da cui siamo partiti, il sentiero si biforca: a destra si segue il percorso formale che fa uscire alla fontanella accanto al rifugio, mentre a sinistra si passa per la generosa (in estate pure provvidenziale!) Fonte di Guido, giusto in vista del solitario tavolino dell’Aia di Guerrino.

 

 

Cascate, cascatelle e stramazzi

cascate

Il 229 “Acuti” è attraversato, più o meno letteralmente, da diversi rivoli che, a disgelo appena avvenuto come in foto, sono belli grassi e scroscianti. Anche il relativo Fosso, che poi accompagna fino alla Lama, si esibisce in deliziosi e godibili spettacolini prima di placarsi nel pianoro.
Ma la notorietà diffusa spetta ovviamente alle varie ed erte cadute che si sfiorano con il 227 “Scalandrini”. Quelle più famose, con l’inconfondibile gradonata di mensole arenarie, fotografatissime (basta guglàre!) e di altezza complessiva sul centinaio di metri, si intravedono tra i rami poco sopra il terrazzino belvedere; ovviamente solo in primavera, prima che l’acqua si assottigli e il fogliame occluda. Per toccarle con mano occorre però uscire dal sentiero e non senza qualche disagio.
Lungo il 227, affluenti, cascatelle e guadi ci accompagnano comunque su fino alla base.

Un pensierino circa quei segnavia che da Passo Fangacci alla Lama via Scalandrini propongono 1h in giù e 1h30 in su. Non discuto che esistano campioni atletici capaci di tale performance, ma è sicuro che a quel passo non si godono certo i tesori che ci circondano.

Note: il fotoreportage sfrutta visibilmente diverse sortite e in diverse stagioni; un paio di foto sono state prese a prestito dai compagni d’avventura.

Saluti da Carlo Palazzini