Tra Arno in giù e Arno in sù…

Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia, e ‘l ciel di sopra fece intento
sì, che ‘l pregno aere in acqua si converse.

(Dante, Purgatorio. Il gran giogo è l’Appennino, che, col Pratomagno, racchiude la valle che contiene Campaldino e che si oscura di tetre e piovose nubi nelle ore successive alla battaglia)

 

L’ultima volta che avevo fatto la sgroppata dal Monte Lori alla Croce avevo usato il “garellino” ed erano più le volte che scendevo e spingevo che altro, comprese scivolate sull’erba e pulizie di candela “che faceva il filo”. Cavolo, non me lo ricordavo così bello, il Pratomagno.

 

L’escursione viene imbastita con due colleghi fiorentini, Giuseppe e Gherardo, con go! finale deciso la sera precedente, viste anche le prospettive meteo. Non lasciatevi ingannare dalle foto! Siamo pur sempre a gennaio e per quanto la perfida nevicata del 17 dicembre 2010 si sia ormai ridotta a vaghe tracce sul versante nordest, bisogna stare allerta! Andate a rivedervi l’articolo di Simone del 24 per rammentare cosa accadrà giusto a una settimana di distanza!

Il classico approccio da Arezzo è tramite la Setteponti Levante, Sp59, “panoramica” e parcheggio nell’accogliente area del Pian dei Lavacchi, ameno posticino dal quale si fa perno di camminate entro natura in tutte le direzioni. Il luogo è deliziato anche dal monumento in laterizio e cemento armato alla repubblica (pari incompiutezza e degrado…).

Comunque, ritengo che tutti voi conosciate meglio di me l’intera zona e quindi ridurrò il seguito a minime didascalie. Però permettetemi una cosa, visto che non tutti sanno: la camminata sul crinale (il “doppio zero”) del Pratomagno offre curve sinuose e splendide vedute in tutte le direzioni in virtù della sua condizione di pulita prateria uso pascolo d’altura. Fateci caso anche usando Google (o Bing) Maps, passato il ripido tratto iniziale tra M. di Loro e M. Lori, il sentiero di crinale è sempre ampiamente scoperto e prativo. Ma a queste quote, dalle nostre parti questo non accade per natura bensì per opera umana che l’ha creato ad arte per pascolo, appunto, con interventi sulla vegetazione ad arbusto o fusto e misure sulla sua arginazione e perimetrazione. Ecco la natura del Grande Prato e se Dante già lo chiama così significa che la cosa si fa da tempo assai.

Da ricordare infine che qui si parla solo del tratto di crinale apicale, ma tutt’attorno si ha una notevole rete sentieristica, segnata e non, e una miriade di posticini deliziosi.

Il primo chilometro è una bella rizzata e pure a gambe fredde! Usciti però dal bosco, verso il fianco ovest del M. Lori, si riprende respiro e si apre il panorama sul Valdarno aretino che, per l’occasione, rimarrà sotto uno spesso materasso bianco.

Gherardo si affretta a immortalare in close-up gli aghi di galaverna prima che si dissolvano sotto l’avanzare del sole.

 

Uscendo dall’innevato boschetto che aggira il Poggio Masserecci sul versante nordest, col sentiero segnato dall’ometto di pietre e dove Giuseppe rende prova degli sconcertanti effetti dell’inversione termica, si profila la selletta della Pozza Nera con il suo laghetto (chissà cosa lo alimenta?). Gherardo, il trekker pro del gruppo, ne sfida impavidamente la tenuta della superficie solidificata. In effetti, l’aspetto era molto omogeneo, superficie asciutta e compatta e non si è sentito neanche un crick, segno che il ghiaccio era spesso e tosto.

 

Scavalcato il dosso dopo il laghetto rimane solo il salitone finale, the damned last mile, con l’obiettivo ormai lì davanti che sembra di toccarlo ma mancano ancora un miglio in distanza e 100m di quota!

 

Il complesso di antenne è il tributo da pagare per gli stili di vita moderni, anche se forse il tutto si potrebbe arrangiare in modi, almeno visivamente, meno invasivi. Spero almeno che altri aspetti meno visivi ma più sostanziali (tipo cottura di gonadi a microonde) siano debitamente considerati. Di civile comunque c’è poco nel saccheggio o distruzione degli annessi pannelli solari. L’impianto sorge nel M. Pianellaccio, punto apicale del Pratomagno e che nominalmente supera di un metro la locazione della Croce.


Un singolare contrasto tra un primissimo piano semifrost e uno sfondo chiantigiano.

 

Il cippo a memoria di Bert Hinkler, il trasvolatore australiano, nella riedizione postbellica dopo che l’originale lapide, posta nel 1933 dall’Aero Club Aretino, era andata distrutta. In secondo piano, sulla destra, il Varco di Castelfranco. Hinkler, per motivi sconosciuti, si schiantò nei paraggi durante la prima tappa Londra – Brindisi della nuova trasvolata verso l’Australia nel gennaio 1933 ma fu ritrovato solo a fine aprile, a disgelo avvenuto, dai carbonai del luogo. Nel frattempo l’avevano cercato dappertutto, Alpi comprese. Un quotidiano d’epoca colloca il ritrovamento del relitto nel Pian dei Ciliegi, un’area tra l’Uomo di Sasso e Cetica, sul versante casentinese, col corpo del povero Bert sbalzato a un centinaio di metri. Mentre la pagina in italiano di Wikipedia riporta solo un paio di righe, ben più ricca è quella in inglese, che delinea un personaggio di notevole spessore, dotato di grandi esperienze, brillante inventiva e strenua vitalità.

 

I sacri testi di escursionismo dicono di mangiare energetico, poco e senza appesantirsi. Faticata, scenario, panorama, aria fine e la sensazione di ebbrezza mista ad appagamento che ne deriva fanno sì che si addenterebbe anche il sacro testo….ragazzi, non c’è ristorante che possa competere con tali bivacchi! Per i curiosi, trattasi di pizza super farcita “rinsoprellata”, avanzo della sera precedente. No, non mi vergogno affatto.

 

Le ombre si allungano, la luce vira all’ocra. Giunge la mesta ora del rientro ma è stata una grande giornata! La parola alle sole immagini.


 

Per gli interessati, riporto un paio di proiezioni coreografiche del percorso e il profilo altimetrico di SOLA ANDATA, dal quale si deduce che l’intero tragitto consta di circa 17 km mentre le sinuose altalene fruttano quasi 900 m di ascensioni.

 

photocredits: le foto col gufo brontolone, al solito, sono del sottoscritto mentre quelle etichettate giocomania sono di Giuseppe e Gherardo.

Saluti a tutti da Carlo Palazzini