Un insolito lago di Penna

Primi di febbraio 2012: visto che la grande nevicata consigliava di lasciare ai giovani aitanti le avventure montane, abbiamo colto l’occasione di riscoprire piccoli paradisi a due passi dalla città, luoghi che sono alla portata di tutti ma spesso dimenticati o snobbati per mete più esotiche.

La grande neve è di appena qualche giorno prima e con una temperatura piuttosto bassa ma un cielo limpido, abbiamo fatto una capatina nella Riserva Naturale di Penna. Parcheggiata l’auto lungo la SR69 abbiamo cominciato a scendere lungo la quasi-carreggiabile che conduce ai capanni di avvistamento e subito siamo rimasti sorpresi dalla bellezza del paesaggio che tra il bosco lascia intravvedere l’invaso dell’Arno e una vasta campagna di fondovalle su cui incombe il Pratomagno.

La neve che copre il terreno sottolinea il paesaggio, gli dà risalto. Cominciamo a fotografare quel posto conosciuto ma reso nuovo dalla nevicata e dall’inatteso sole. Nell’aria frizzante e limpida volano numerose specie di uccelli, sul sentiero intatto troviamo moltissime tracce di animali tra cui individuiamo la volpe, il tasso, forse gatti selvatici, e una quantità di uccelli.

Dopo aver parcheggiato nel grezzo piazzalino lungo la SR69, si segue lo stradello pomposamente segnalato “via della diga”, attraversando in discesa un boschetto di roverella. Siamo ora entrati nella Riserva Naturale di Ponte e Buriano e Penna. Dopo aver sottopassato la ferrovia, si trova il (l’unico) segnavia “sentiero C”, il panorama si apre e si vede l’Arno a valle di Rondine. Attorno, fitti arbusti di rosa canina la cui bacche contrastano col bianco della neve e col cupo tono della restante vegetazione.
Detto anche lago di Penna dal nome della pittoresco nucleo medievale arroccato sulla riva destra dell’Arno, l’invaso si è formato a seguito della erezione della diga ENEL (fine anni 1950) giusto sotto detto abitato.

 

 

La neve sullo stradello che in decisa discesa porta all’invaso è intatta da orme umane ma fittamente segnata da mammiferi selvatici. Sembrano quasi processioni a branchi. Non siamo esperti ma riconosciamo subito l’inconfondibile orma del tasso. Altre potrebbero benissimo essere volpi e faine ma alcune, ungulati a parte, proprio non riusciamo ad assegnarle (e chiediamo aiuto ai lettori).

 

Il sentiero-tratturo avvicina l’invaso in una zona normalmente acquitrinosa, dove però siccità e gelo hanno reso calpestabile il fondo solitamente melmoso trasformandolo in un lungo arenile innevato: il saggio con bastoncino è positivo e quindi lì ci incamminiamo, abbandonando il normale sentiero che porta al capannino di avvistamento.

 

Continuando ad avvicinarci all’invaso (o lago che dir si voglia) troviamo il sentiero quasi impraticabile ed è un peccato che un posto così vicino alla città e adatto a gite scolastiche o semplicemente a passeggiate di famiglia, sia ridotto in queste condizioni. La sensazione di disagio si accentua quando lungo la riva troviamo resti di fuochi e bivacchi con tanto di bottiglie e lattine come souvenir. La situazione, tra l’altro, non migliora certo negli altri approcci lungo la regionale.

Dalla riva del lago parzialmente gelata il paesaggio è incantevole, mentre al largo decine di cormorani, germani e altre specie che non sappiamo riconoscere rendono lo spettacolo ancora più bello e interessante, posto ideale per chi volesse fare bird watching. Proviamo a fare alcuni scatti ma ovviamente non abbiamo l’attrezzatura adatta. Basterebbe un buon tele, un cavalletto e un paziente appostamento non intrusivo per divertirsi a riempire le memory card.

Lungo la riva notiamo un’ampia striscia di terreno screpolato dalla lunga siccità e ora gelato, dove ci imbattiamo in alcune strane formazioni di ghiaccio che si sono formate su steli e pezzi di legno per il gioco del crescere e ritirarsi dell’acqua. Brillano al sole in forme sorprendenti, strane e sempre diverse, lasciando intravedere al loro interno lo stelo o il rametto su cui si sono formati.

 

Lungo il bagnasciuga troviamo delle curiose formazioni di ghiaccio che rivestono i rinsecchiti resti vegetali che spuntano dal sabbione. Il ghiaccio è solido e trasparente e il curioso fenomeno rende le formazioni come meduse sospese a mezz’aria. Probabilmente è l’effetto del notevole gelo di quei giorni unito al ritiro delle acque.

 

Continuiamo a camminare dove di solito non è possibile, fino ad arrivare alle meno disponibili sponde di macigno. Gianfranco (laggiù a destra) tenta di trovare un passaggio mentre di fatto troviamo solo i sudici resti di un qualche oktoberfest privato (omettiamo le foto per pietà). Riprendiamo quindi il “sentiero C” giusto lì sopra che si addentra nel bosco.

 

Siamo sinceri: astutamente inserita in qualche rivista patinata e con didascalia riferita a qualche zona esotica, quanti si accorgerebbero immediatamente che la foto a sinistra ritrae in realtà un posto qui dietro l’angolo? A destra, sfruttando qualche feritoia tra i rilievi vicini, si intravede l’appennino ben imbiancato.

 

Usciamo nuovamente dal sentiero per raggiungere le suggestive e temporaneamente (speriamo!) spiaggiate insenature attorno allo sbocco del Borro dell’Acquaforte. Ripreso il sentiero, che ora vira all’interno per andare a formare una racchetta, troviamo anche una gabbia-trappola, probabilmente usata per regolare la numerosità dei cinghiali che, senza nemici naturali, si stanno qui allargando troppo.

 

La scarpatina sottostante il capanno di avvistamento segna normalmente la riva, così come i fusti di certi alberi solitamente a mollo. Evidente il deficit d’acqua in livello, ma molto più significativo in volume. Il Borro dell’Acquaforte, ben imborrato nella roccia, sbocca sul lago in una bella apertura della vegetazione e il cui terreno pastoso porta notevoli tracce di ungulati. Curiose le bolle che salivano freneticamente in superficie in una certa area della riva.

 

Tutta la zona della Riserva, e giù fino a quella della Bandella – Valle dell’Inferno (se non ci siete ancora stati, andate senza indugio al giro in barca offerto nei mesi estivi: guide competenti e disponibili e un’ora di godimento naturalistico) sono ricche di avifauna, parte stanziale e parte periodica, grazie alle estese aree umide formate dalle rispettive dighe. Per gli appassionati, un po’ di paziente appostamento in camouflage, “vetri” lunghi e scatto a mitraglia: divertimento assicurato (non fate caso a quelle sopra, a mano libera,e camera brigidina e uccelloni che da tempo ci tenevano d’occhio).

 

La zona del capanno di avvistamento quando l’invaso è in ciccia: non c’è arenile e ad occhio siamo sul paio di metri di maggior livello e che fanno diversi milioni di metri cubi.
Da notare purtroppo come questa zona, primo contatto provenendo dalla SR69, si trasformi spesso nel solito immondezzaio plastico-alimentare, per la gioia di avventori e natura.

Al ritorno facciamo di nuovo fatica a trovare il sentiero tra neve, dilaganti roveti, passaggi inselvatichiti e campi piatti (che magari sono a coltura e quindi non vorremmo calpestare): la neve, seppur attraente, ci impedisce di vedere bene dove mettere i piedi. Saliamo su un’altura e di nuovo ci incantiamo a vedere il panorama che dal Chianti arriva a Catenaia.

Rientriamo alla base con buona soddisfazione e appagamento, grazie anche ad una schietta mattinata a dispetto delle previsioni […]. Negli occhi lo splendore di un paesaggio semplice ma bellissimo e inaspettato. Non può mancare un caldo invito a godersi questi posti ad un salto dalla città, figli e nonni compresi, magari sfruttando le escursioni guidate (consultate il calendario al sito APPA o al sito eventi provinciali). Peccato che la documentazione su queste aree, specialmente quella on line, sia veramente misera.

Saluti da Carlo Palazzini & Gianfranco Landini

EXTRA – Gianfranco sovrintende alle operazioni di ormeggio e imbarco per la imperdibile gita in battello nella Riserva Naturale della Valle dell’Inferno – Bandella, parente stretta di quella di Ponte a Buriano e Penna (estate 2011).