Monti Rognosi (2): l’altra sponda

 

Non tutto, ma la parte centrale di cotesto gruppo ha preso il nome di Monti Rognosi, come altri di simil natura si appellarono volgarmente Monti Tignosi e Pelati, non tanto dall’essere in gran parte nudi di vegetazione, ma forse anco dall’aspetto della loro superficie sparsa di macchie verdi, nere e bianche, a similitudine di una pelle umana coperta di scabbia. (Repetti, DIZIONARIO GEOGRAFICO FISICO STORICO DELLA TOSCANA, 1833)

 

Dopo aver esplorato il lato ovest dei Monti Rognosi (in realtà sarebbe un “mentre” ma ci prendiamo la licenza poetica per amor di narrazione), nel relativo lato est abbiamo percorso il già noto sentiero 104B che dalla provinciale sale verso il Poggio di Castiglione, meta di ricerca dei resti del Castello di Fatalbecco.
Il sentiero sale rapidamente in principio per poi continuare quasi in piano come una lunga terrazza sulla valle del Sovara, da dove tra gli sparuti e malmessi pini si vede benissimo il panorama con il Conventino, le sue vistose cave, il Monte della Croce, il Montauto con il suo castello e Catenaia verso nordovest, mentre verso sud lo specchio d’acqua (quando c’è) formato dalla diga sul Sovara illumina la campagna, infine lo sguardo si perde in lontananza fino ai rilievi umbri.

 


Risalendo da Tavernelle e imboccando la SP45 verso Ponte alla Piera sopra la chiusa, si hanno i più vistosi indizi delle particolarità che ci circondano: a ovest, al di là del Sovara, gli speroni di serpentiniti mentre lungo il bordo destro della strada, la costa tagliata dei colli mette a nudo la spigolosa e brunoverdastra roccia.

 

L’imbocco dell’onnipresente sentiero 104B verso i Rognosi orientali non è molto distante dal varco del Conventino ed è identificabile da una piccola piazzola lungo la SP45, una tabella segnavia e un pannello con carta geo-topografica. Le perplessità di segnaletica, già evidenziate per il lato ovest, si ritrovano pure amplificate: “Ma il 104C non l’avevamo lasciato su al Pian della Croce? Che ci fa di qua?” La mappa del pannello dà poi il colpo di grazia… il mistero si infittisce … ci buttiamo impavidi verso l’oscura impresa… Il sentiero si inerpica inizialmente, per poi assumere un andamento di mezzacosta molto piacevole, rivelando la strana natura delle rocce e la propria essenza artefatta, magari risalente a tempi immemori. Il panorama sul Pian della Croce, sulla valle del Sovara e sul Conventino è splendido. Ricordare che la Riserva Naturale è quella là, mentre noi siamo sull’area contigua (ma per fortuna sempre riserva di caccia).

 

In questo percorso la vegetazione è scarsa e le rocce affiorano copiose dal terreno. Anche il cammino richiede attenzione: questi sono veramente “i monti rognosi” ma è proprio in queste zone brulle e ostili che tutt’attorno piantine fiorite si abbarbicano al terreno sassoso adattandosi e specializzandosi il forme insolite. Nell’aria si sente l’odore dei pini insieme a quello dolce e forte delle ginestre in piena fioritura ma anche i profumi leggeri di quelle mille piantine, come il timo, che spuntano tra ofioliti bruno-verdastre, le rocce e i sassi che formano questo particolare territorio.

 

La costa percorsa dal sentiero “del contrabbando”, come recita il pannello, offre ampi tratti meramente arbistivi, privi di quei stenti pini peraltro assai sparpagliati, mettendo a pieno sole la singolare natura del suolo e la rada ma policroma tappezzeria floreale, pure essa talvolta singolare. I tentativi di foto in close-up spingono a pose e posizioni stravaganti, non senza qualche ardimento…

 

Questo è l’aspetto tipico di questo tratto di versante dell’anonimo colle che chiameremo “quota 670”. Probabilmente, fino all’inizio del XX sec. cioè prima della controversa campagna di inserimento di pini, la vista era ancora più desolante.

 

Qualche testimonianza delle rocce di quest’area, delle quali però dei scatti al volo come questi non rendono adeguata testimonianza in termini cromatici e di luccichii di riflessi. Ma anche il profano (come noi) non può che realizzare immediatamente la stranezza di questo suolo. In alcuni punti, i sali dei metalli formano veramente effetti “marziani”.

 

Una gita fra queste pietre colorate farà felice non solo gli appassionati di mineralogia ma anche quelli di botanica, date le varietà di piante adattate a questo habitat unico tra cui ricordiamo l’Alisso di Bertoloni, una pianta che riesce ad assorbire il nichel contenuto nelle rocce serpentine, il timo nella varietà Ophioliticus, la Minuartia laricifolia ophiolitica (Minuartia del serpentino) ed altre come la Margherita del serpentino, la Stipa etrusca con i suoi caratteristici semi “piumati” che riempiono a tratti le zone steppiche… e tanti altri fiori di cui non scopriremo mai il nome…
Tutt’attorno, minerali e rocce con composizioni chimiche insolite e variegate: composti ferrosi, del rame e dell’argento, legati con sostanze diverse, le serpentine dai colori verdazzurrognoli spesso usate per materiali pregiati da costruzione (sono presenti nel pulpito del Duomo di Arezzo). E ancora  rocce durissime accanto a rocce estremamente friabili, i colori e gli odori delle mille piantine abbarbicate tra le rocce rendono la passeggiata varia e stimolante.
Ricominciamo a salire verso la sommità di Fatalbecco attraversando una zona che diventa più boscosa a querceto a mano a mano che ci avviciniamo alla cima. Dopo una bella vista a sud sulla chiusa, infine sbuchiamo in una bella piazzola attrezzata con tanto di panchine, barbecue, fontanella e un bel panorama, un po’ infrascato, sull’invaso di Montedoglio.

 

All’atto del transito dal fianco di “quota 670” a quello di Poggio di Castiglione, sopra il Ponte delle Fate, il sentiero tende a scomparire tra erboni e scope e occorre un po’ d’occhio per individuare il pietroso passaggio-ponte sulla secca valletta e intuire la via per arrivarci. Il sentiero sbuca poi sul presunto SN16 che tende ad aggirare in senso antiorario il Castiglion Fatalbecco. Si trova anche la deviazione che porta giù alla SP45, assieme ad un atterrato segnavia che tutti i nostri sforzi non hanno saputo orientare. Seguono belle viste sulla chiusa (per l’occasione colma dalle benefiche piogge primaverili) e, all’incrocio con il 104, siamo al Cùl di Paiolo (appellativo spesso edulcorato sulle carte: puritanesimo vittoriano?) dove troviamo la bella e molto ben attrezzata area picnic della Unione Montana dei Comuni della Valtiberina Toscana, ex Comunità Montana omonima, dalla quale si intravede un attraente scorcio della sanguinante barriera di Montedoglio. Tra l’altro, i due bastioni della barriera, Poggio degli Scopeti e Montedoglio (il monte!), mantengono la stessa natura geologica dei Rognosi dei quali, comunque, il colle “quota 670” è il rappresentante omogeneamente più massiccio.

 

La zona dell’Omo Morto vede l’incrocio del 104, del 104B e del SN18 (?). Quest’ultimo rappresenta una notevole testimonianza, documentata in itinere da pannelli, dell’artificioso impianto di pino. Il sentiero crea una variante che aggira “quota 670” e rientra nel 104 dopo essersi imparentato con uno stradello di servizio a quota maggiore. Il sentiero-natura è piacevole e si trovano splendide viste sul Ponte alla Piera, sulla Locanda del Viandante, sul sacro monte della Verna, del quale si distingue bene il “calcio del diavolo”, e su tutta l’Alta Valle del Tevere.
Una curiosità del luogo, sulla quale non abbiamo certa spiegazione, sono i frequenti “pini-diapason”, dove il tronco sembra nettamente troncato – appunto – con diramazione orizzontale di rami primari (in foto, il ramo verticale è solo un caso prospettico).

 

Doveroso riposino, il solito biscottone e poi a traverso per il bosco per distinguere a malapena i resti (veramente miseri) del Castiglion di Fatalbecco. Ne usciamo tagliando verso il sentiero 104 (strada bianca) in prossimità dell’Omo Morto, un punto dove la tradizione vuole che si siano consumati agguati e omicidi e quindi dove possono ancora vagare spettri e anime in pena, tanto che la gente del posto usava fare un esorcismo gettando sassi sul luogo come un rito di sepoltura!
Continuando sulla strada si scollina sul caseggiato de La Marca, ma dall’Omo Morto conviene prendere il SN18(?), bel percorso che gira attorno al poggio “quota 670” che mostra l’atavica battaglia tra arido e venefico suolo e sofferente ma indomita vegetazione.
In direzione opposta si arriva al Carmine, luogo dove storia vuole la Madonna apparisse a una pastorella, e si riprende il cammino verso il Sovara chiudendo l’anello, oppure dall’Omo Morto si taglia per una infrascata bretellina, che altro non è che il noto 104B, che ci riporta in direzione del Conventino.
Nella discesa c’è più spazio da dedicare ai dettagli floreali che, in giusta stagione, non si fanno certo mancare.
Anche lungo la provinciale che scende verso la chiusa è possibile trovare policromi spazi floreali e varchi di discesa al Sovara: almeno laggiù sotto, a riva del sassoso alveo, c’è un po’ d’ombra e il sommesso scorrere dell’acqua aumenta il senso di fresco!

 

 

 

Avevamo promesso un po’ di flora, e allora via con primule, minuartie, margherite del serpentino, stipe, nigritelle, alissi, rose canine, caprifogli, timo, orchidee, cirsi, polmonarie, pruni, citisi, ginestre, scorzonere, spilloni, cinquefoglie, olmarie, garofani, trifoglini… la nostra conoscenza (grazie alle guide locali e al web) ha fatto per l’occasione notevoli progressi, ma tanta ne manca che siamo senza speranza di dare ulteriori nomi …. Banali fiori selvatici, direbbe qualcuno! Eppure basta soffermarsi un momento, magari in close-up, per rendersi conto quali capolavori siano queste gemme di natura. E pure micromondi dove, in primavera inoltrata, anche gli insetti se la spassano… diciamo che seguono gli istinti primordiali …

 

Tornando verso casa, transitati per Gualchiera-Bagnolo, torna un panorama di colori più familiari e solo allora ci si accorge come certi strani ambienti, vissuti e osservati intensamente, avessero spinto l’image processor cerebrale ad alterare le percezioni cromatiche ambientali.

 

Un riassuntino della zona con le solite rielaborazioni casalinghe su base CTR, con evidenziati i principali sentieri percorsi.
Il percorso siglato semplicemente SN, sempre a causa delle misere cartografie reperibili, dovrebbe chiamarsi SN 18 e in tal modo è stato in precedenza appellato. Il CAI 104 verso nord continua scendendo poi a La Marca e da qui a trovare il CAI 2 su Selvaperugina.

 

Il castello di Fatalbecco (nome forse dovuto a un bastione con forma fatta-a-becco a seguito di una incompiuta ristrutturazione del 1200), i cui resti sono a malapena riscontrabili con non poca fatica, risaliva all’epoca dei contrasti tra bizantini e longobardi. I versanti orientali del gruppo, quelli che danno su Motina e Albiano, sono interessati da un paio di percorsi-forse-natura, che al solito mai compaiono sulla cartografia intesa come tale (e men che meno, assieme ad altri punti contestabili, sul pannello cartografico trovato a inizio scarponata), dai quali si hanno buone vedute sulle golene del Tevere.

Tra un paio di settimane l’ultima puntata. Saluti a tutti.
Carlo Palazzini & Gianfranco Landini